PADRE E FIGLIO

A vent’anni, per non pesare troppo sui miei, cercavo sempre dei lavoretti con cui poter pagare tutti i miei sfizi.
Un giorno risposi a un “cercasi…” pubblicato su una rivista locale di annunci economici; volevano una ragazza che impartisse lezioni di inglese e si occupasse in generale dello svolgimento dei compiti di un ragazzino delle scuole superiori.
Fissai un incontro per una prima lezione di prova.
Quando mi presentai, fu il padre ad aprirmi la porta, un uomo sulla cinquantina, occhiali e capelli brizzolati, con l’aria pedante e il volto ostinato. Mi accompagnò in sala e ci sedemmo sul divano; mi parlò del figlio, Luca, che dopo la separazione dei genitori aveva avuto un tracollo scolastico, peggiorando in tutte le materie, soprattutto in inglese.

Ci accordammo perché io rimanessi lì quel pomeriggio, per conoscere il figlio e aiutarlo nello studio, mentre il padre sarebbe andato al lavoro.
Prima di uscire, mi accompagnò nella stanza di Luca, che stava giocando svogliato al computer.
«Luca, questa è Alice, la ragazza che ti aiuterà a fare i compiti. Mi raccomando, fai quello che ti dice e cerca di stare attento», gli disse il padre.
Lui neanche si voltò, preso dal gioco che stava facendo.
Il padre mi guardò con rassegnazione e se ne andò.
Mi sedetti sul letto, in attesa che quel ragazzino mi degnasse di attenzione. Passarono cinque, dieci minuti, ma lui non si schiodava dallo schermo. Mi alzai e mi piantai davanti al computer dicendogli «Dai, è ora di fare i compiti». Lui, interrotto nel bel mezzo di un gioco, cercò di divincolarsi e di spostarmi, mettendomi una mano sul seno, magari pensando che mi sarei ritratta, scandalizzata. Ma così non fu, non era certo la prima volta che qualcuno mi dava una palpatina. Comunque, anche se maldestro, quel tocco mi aveva procurato una piccola eccitazione e i miei capezzoli si erano leggermente induriti, spuntando dalla camicia bianca che indossavo. Se ne accorse anche lui, perché il suo sguardo cambiò, puntando fisso in direzione delle mie tettine.
«Ieri su internet ho visto un hentai dove un’insegnante a scuola aveva delle tette giganti e se le faceva succhiare da uno studente, vuoi vederlo?», mi disse con tono di sfida.
«No, non voglio vederlo. Prendi il libro di inglese e vediamo dove siete arrivati con il programma», risposi seccata.
Apatico, si alzò, frugò nello zaino, prese il libro di inglese e mi mostrò gli esercizi che avrebbe dovuto fare per il giorno successivo. Cercai di approfondire con lui la parte grammaticale dei compiti che gli erano stati assegnati, in modo che potesse capirli e svolgere da solo gli esercizi.
Lo lasciai a completare un testo a cui mancavano dei verbi, mi girai di spalle e ne approfittai per rispondere a un sms.

In quel periodo uscivo da poco con un ragazzo che abitava fuori città, a una quarantina di chilometri. Non ci vedevamo spesso, per cui lui aveva l’abitudine di mandarmi sms durante il giorno, magari un po’ spinti, in cui mi diceva cosa avrebbe voluto fare a letto nei giorni successivi. A volte riusciva ad eccitarmi così tanto che ero costretta a masturbarmi, sentivo la mia fichetta bagnata e usavo le dita finché non ero soddisfatta.
Guardai Luca che, silenzioso, stava scrivendo. Continuai a scrivere sul mio cellulare, divertita dalla situazione e dal fatto che avrei potuto bagnarmi di fronte a quel ragazzino inconsapevole. Mi persi nei desideri e nelle voglie di quegli sms.

Mi fermai solo quando sentii che Luca, da dietro, cercava di toccarmi i seni con entrambe le mani. Mi colse alla sprovvista, perché strinse rapidamente le dita proprio intorno alle mie tettine e iniziò un goffo movimento circolatorio quasi fastidioso.
Mi girai con l’intenzione di prenderlo a schiaffi, lui restò aggrappato alla mia camicia che nella rotazione si strappò all’altezza dei bottoni, scoprendo completamente uno dei miei seni. Luca mi saltò addosso gettandomi per terra e cercando di leccare dove poteva.
«È da quando sei arrivata che voglio leccarti le tette… dai fammele leccare…», mugolava.
«No! Dai!» gridai, cercando di divincolarmi.
Nonostante la giovane età, Luca riusciva a tenermi ferma con i polsi attaccati al pavimento, bloccati dalle sue mani.
Iniziai a sentire la sua lingua roteare intorno al mio capezzolo, che, malgrado non volessi, si gonfiava e si induriva sempre di più. Luca serrò le labbra intorno a quella sporgenza turgida e cominciò a succhiare avidamente, accompagnando quel rito con tutta la testa. Vedevo le sue guance assottigliarsi mentre affondava la lingua e attirava il mio capezzolo dentro la sua bocca.
Mi eccitai moltissimo.
Riuscii solo a dirgli «… poi però facciamo i compiti…», prima di aprire del tutto la camicia e offrirgli anche l’altro seno.
Con gli occhi chiusi, pensai intensamente al mio ragazzo, immaginando che ci fosse lui sopra di me intento a succhiare.
Mi bagnai e mi venne voglia di toccarmi.
Allungai una mano per cercare di sbottonarmi i jeans e scostare le mutandine, ma appena arrivai a sfiorarmi sentii le grida del padre di Luca che, tornato a casa, stava assistendo a quella scena.

Colti sul fatto, ci fu un attimo di panico e di confusione. Io mi affrettai a coprirmi il seno con le mani, mentre Luca veniva strattonato dal padre.
L’uomo mi prese per un braccio e mi trascinò fuori dalla stanza, chiudendo a chiave la porta e minacciando il figlio.
Mi spinse con forza verso il divano.

«Puttanella, ti piace fartela con i ragazzini? Lo sapevo che eri una troietta, l’ho capito appena sei entrata in casa. Dammi il numero dei tuoi genitori, voglio parlare al telefono con tuo padre, voglio raccontargli che razza di zoccola è la figlia», disse.

«La prego, mi lasci andare a casa, non dica nulla ai miei. È stato un momento di debolezza, ma non abbiamo fatto nulla di male», supplicai.

Mentre parlavo, mi ricordai di avere la camicia strappata e mi resi conto di non riuscire a coprirmi completamente il seno, perché lui teneva ancora saldamente il mio braccio.
Notai che stava guardando proprio la mia nudità ed evidentemente si accorse anche che avevo i jeans sbottonati perché mi piegò sopra la spalliera del divano e tenendomi ferma, da dietro, mi sussurrò all’orecchio «Sai, mi è venuta voglia di sentire quanto è stretta la tua passerina, che ne dici?»

«No, la prego… le prometto che uscirò da qui e non mi vedrà mai più, giuro», risposi.

«Allora vuoi proprio che chiami tuo padre, cagnetta», continuò a bassa voce.

«No… no… mio padre no…», replicai con un filo di voce.

L’uomo con un gesto repentino mi abbassò in un colpo solo jeans e mutandine, scoprendomi il sedere. Con la mano destra si fece largo tra le mie gambe e mi infilò un dito nella fichetta, subito raggiunto da un secondo dito. Iniziò a penetrarmi velocemente, andando a fondo con forza, tanto da farmi sussultare.
Cercai di rilassarmi, consapevole del prezzo che avevo deciso di pagare; lui voleva umiliarmi, ne ero consapevole, ma mai e poi mai avrei lasciato che telefonasse a mio padre.

«Dai troietta, ora succhiami l’uccello» disse, prendendomi per i capelli e spingendo la mia testa verso il basso.

Mi inginocchiai di fronte a lui, mentre si sbottonava i pantaloni.
Mise in bella vista il suo membro, già duro. La prima cosa che notai fu il grosso glande, enorme, rispetto al resto. Senza aspettare che lui mi forzasse, mi aggrappai ai suoi fianchi e glielo presi in bocca. La cappella mi riempiva la bocca, riuscivo a malapena a far roteare la lingua. Con una mano iniziai a massaggiargli i testicoli, convinta che se fossi riuscita a farlo venire alla svelta mi avrebbe subito lasciata andare. Ero brava coi pompini, sapevo dove leccare, quando stringere le labbra, come succhiare le palle per stimolare l’uscita dello sperma.
Lui si stava godendo il tutto, gemendo e pronunciando solo monosillabi di approvazione.
Sentii che stava per venire, ma lui mi spinse via, estraendo l’uccello dalla mia bocca. Mi tirò su per un braccio mettendomi nuovamente contro il divano, stavolta frontalmente.
Poi fece una cosa che non mi aspettavo: girò la chiave della porta del figlio, chiamandolo a gran voce: «Luca, vieni a vedere come faccio godere la tua amichetta… ho il cazzo duro come il marmo… voglio sfondare la fica di questa puttanella!»

Luca aprì la porta con l’uccello in mano «Eccomi… non vedevo l’ora, mi stavo facendo una sega immaginando la scena…», rispose.

«Ma che sta succedendo?», chiesi impaurita.

«Non l’hai ancora capito? Mio figlio non è così giovane come sembra, ha 18 anni, è solo ripetente. Abbiamo deciso di mettere un annuncio per gioco, con la speranza che si presentasse una ragazza carina e troia come te. Adesso ti farai scopare da entrambi, così Luca farà un po’ di pratica imitando suo padre», rispose.

Si gettarono su di me e finirono di spogliarmi. Restai completamente nuda appoggiata al divano, mentre il padre cercava di allargarmi le gambe per infilare dentro il suo grosso uccello.
Mi sentii quasi lusingata, forse alla fine era proprio vero che ero una troietta. Il sesso mi era sempre piaciuto, non avevo tabù e mi piaceva sperimentare.
Diventai docile come un agnellino e mi posizionai pronta a sentire quella cappella così grossa che allargava il mio buchetto.
L’uomo appoggiò il glande contro l’apertura della mia fichetta e con un respiro profondo spinse l’uccello tutto dentro in un colpo solo.
Urlai.
«Ah, sì… come è stretta… proprio come piace a me… brava… fammi godere… dai…», diceva, aumentando il ritmo.

Inarcai la schiena e mi buttai all’indietro sul divano, ansimando per i colpi ricevuti, mentre sentivo il suo cazzo fino in fondo, e il rumore delle sue palle che sbattevano contro il mio culetto.
In quella posizione ero pronta per succhiare anche l’uccello di Luca, che si era sistemato prontamente con il cazzo all’altezza della mia bocca. Serrai le labbra intorno al suo arnese, lasciando che andasse avanti e indietro e usasse la mia bocca come se fosse un buco qualunque.
Mentre il padre mi trapanava la fica, Luca si era aggrappato con entrambe le mani ai miei capezzoli e continuava a torturarli vedendo che si gonfiavano sempre di più.
Arrivai al massimo dell’eccitazione e venni con piccole grida liberatorie.
Poco dopo sentii che anche il padre di Luca stava venendo, tra i gemiti soffocati. Tirò fuori il cazzo e mi sborrò sulla pancia e sul pube rasato.
Con due dita raccolse un po’ del suo sperma e mentre incitava il figlio a prendere il suo posto, me le infilò in bocca per farmele leccare.
Nel frattempo Luca aveva sostituito il padre e si dava da fare. Non aveva il cazzo grosso, ma dava spinte profonde ed energiche e mentre mi scopava mi leccava le tettine, prima una e poi l’altra, mordendomi i capezzoli e succhiando forte.
Venni di nuovo.
Quando capii che anche Luca stava per eiaculare allentai i muscoli vaginali, ma lui non fece in tempo a uscire e uno schizzo caldo invase la mia fichetta.
Quando tirò fuori l’uccello, un rivolo bianco colò tra le mie gambe.

«Vieni», gli disse il padre «ripuliamo per bene questa passerina».

Sentii le loro lingue intorno al mio buchetto, a turno leccavano l’esterno, per poi concentrarsi con la punta sull’apertura da dove usciva quel mix dei nostri fluidi.

Quando ebbero finito calò il silenzio.

Sapevo che in quella casa non sarei probabilmente più tornata.

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